ilbambino

Un bambino si era perso in una grande città. E si sa le grandi città sono fatte per perdersi. Strade che vanno da tutte le parti, palazzi e palazzoni, macchine macchine macchine, rumore, fumi,  cartelloni,  sirene, cantieri, grida, punti di vista.
Più su,  in alto, c’era anche il cielo.
Era un bambino di circa otto anni, magro, occhi scuri, capelli neri, jeans, scarpe da ginnastica e un giaccone blu. L’avevano chiamato Marco come il nonno ed era nato in primavera.
Le persone andavano così di corsa che non faceva in tempo neanche a riconoscere i visi, una scia dietro l’altra e, in quella fretta,   si assomigliavano tutti, impastati con gli stessi gesti, l’occhio a cono sul cellulare, le dita digitanti, il piglio concentrato, slalom,  semaforo, stop, attraversamento, piedi e giorno dopo giorno invecchiavano senza accorgersene percorrendo le stesse geometrie con la medesima fretta. Un circuito chiuso che non prevedeva viaggi spaziali, incontri con gli dei, curiosare tra i cieli, piantare alberi, telefonare a Dio e avere un amico marziano.
In quel ginepraio c’erano anche i portatori di sorrisi, pochi, rari esseri umani che si guardavano intorno e quando incrociavano gli occhi di  qualcuno sorridevano e questo scompigliava un po’ l’assetto generale. C’era chi rispondeva al sorriso e chi diffidava di quel genere di attività non classificabile.
Marco rimirava gli adorni dei palazzi antichi, i fiori caparbi che spuntavano tra i sassi, gli alberi che riuscivano ad essere grandi in aiuole piccole e gli uccelli solitari o in stormi che disegnavano il cielo. Camminava a passi piccoli con molte soste, una nota lenta in quella partitura sincopata e instabile, assomigliava  alle piccole gocce tranquille che cadono qua e là dopo un acquazzone.
<<Bambino ti sei perso?>>  Una donna  ben vestita con gli occhi verdi gli si era avvicinata.
<<No grazie signora>>. Aveva molte cose da fare prima di essere ritrovato.
<<Dove sono i tuoi genitori?>>
Individuò una coppia giovane che veniva verso di lui e con un gran sorriso e  disse: <<Eccoli!>>, e gli andò incontrò. La donna osservò un attimo la scena ed andò via. Aveva eseguito il suo primo gioco di prestigio creando una attraente realtà illusoria. Pare che questo sia il gioco del mondo.
Quando era piccolo pensava che la vita fosse composta di montagne, animali, cielo, alberi, fiori e bene. E anche Bobby, il suo cane, la pensava così e, visto, che era l’unico che aveva le sue stesse idee, passava quasi tutto il suo tempo con lui e per un certo tempo pensò di essere un cane, ma siccome tutti continuarono a ripetergli che era un bambino si conformò a questa idea adattandola: era un bambino che si comportava da cane. Infatti odorava la terra bagnata,  il pane, le persone, i profumi  che divenivano  memoria e che gli tenevano compagnia e il vento che non lo perdeva mai di vista e gli  raccontava storie.

Pioggia dopo pioggia e sole dopo sole diventò grande e poi vecchio e non percorse mai la stessa strada né fece le medesime azioni. E non trovò nessun altro che la pensasse come Bobby per cui rimase un po’ straniero e un po’ viandante, contento dei suoi silenzi e della sua lentezza, era più foglia che uomo, lasciava che le stagioni lo facessero brillare e poi seccare e poi nascere ancora.
E la vita non era andata come l’avevano immaginata lui e Bobby, era stata così imprecisa e difettosa scossa da pene, squarci,  malinconia e molto altro. Ma le montagne, gli animali, il cielo, gli alberi, i fiori e il bene esistevano davvero, uno sboccio alla tragedia, e  si arrangiò verso la morte come per una passeggiata sui monti, scarpe comode, sorriso, il pranzo al sacco e gli abiti più caldi.

(c) Alessandra Corsini – all rights